Corso di formazione biblica

Foto-0106.jpgParrocchia S.Michele Arcangelo –Itri (Lt) 

Venerdì 24 febbraio 2012,ore 20,30

Corso di formazione biblica

“Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”

P.Antonio Rungi C.P.

 

A-    IL VANGELO DI MARCO

 

1. L’AUTORE, DATA E LUOGO DI COMPOSIZIONE

 

La tradizione della Chiesa primitiva è unanime nell’attribuire il secondo vangelo a Marco, il discepolo di Pietro.

L’affermazione più antica è quella di Papia di Gerapoli il quale, scrivendo agli inizi del II secolo, cita e commemora una testimonianza ancor più remota. L’evangelista è solitamente identificato con il Giovanni Marco di Atti 12.25 e con il Marco di I Pietro 5,13. Il fatto che egli avesse un nome giudaico (Giovanni) e un nome latino ellenizzato (Marco) fa pensare che egli fosse un giudeo proveniente dal mondo di lingua greca; in effetti, egli faceva parte degli ellenisti, nella comunità di Gerusalemme.

Secondo la tradizione, Marco scrisse il suo Vangelo dopo la morte di Pietro (64 d.C.). Marco 13 contiene una predizione della distruzione del tempio, ma mentre i suoi paralleli in Matteo e Luca furono scritti dopo l’evento (70 d.C.) e furono in una certa misura alterati per accordarsi con i fatti conosciuti, Marco 13 si presenta come una predizione fatta prima dell’evento. Di conseguenza il suo Vangelo è datato tra il 65-70 d.C.

La tradizione collega il Vangelo di Marco con Roma (fatta eccezione di Giovanni Crisostomo che assegna il Vangelo ad Alessandria). Da prove interne risulta evidente che Mc. fu scritto per i cristiani non palestinesi ma di origine pagana: c’è, infatti, una scarsa preoccupazione di mostrare il legame del Vangelo con l’Antico Testamento, per questo motivo si prende cura di spiegare usanze giudaiche (Mc. 7, 3-4; 14,12; 15,42), di dare dettagli geografici (Mc. 1, 5-9; 11,1), di sottolineare l’importanza del messaggio evangelico per i pagani (Mc. 7,27; 8, 1-9; 10,12, 11,17; 13,10) e di tradurre parole aramaiche (Mc. 3,17; 5,41.34; 10,46; 14,36; 15, 22.24). Inoltre i riferimenti alla persecuzione (Mc. 8, 34-38; 10, 38-39; 13, 9-13) sembrano suffragare la tradizione di una provenienza romana.

 

2. STRUTTURA LETTERARIA E CONTENUTO

 

Il Vangelo di Marco è il meno sistematico. Dopo il preludio, costituito dalla predicazione di Giovanni Battista, dal battesimo di Gesù e dalle tentazioni nel deserto (Mc. 1, 1-13), ci sono alcune rare indicazioni che ci aiutano a discernere un periodo di ministero in Galilea (Mc. 1, 14 -7,23); poi i viaggi di Gesù con gli apostoli nella regione di Tiro e Sidone, nella Decapoli, nella regione di Cesarea di Filippo, con il ritorno in Galilea (Mc. 7,24 -9,50); infine un’ultima salita verso Gerusalemme per la passione e la risurrezione (Mc. 10,1 – 16,8).

Queste grandi linee di Mc. tracciano una evoluzione che merita di essere ritenuta storica e teologica: Gesù all’inizio è ricevuto dalla folla con simpatia, poi il suo messianismo umile e spirituale delude la loro attesa e l’entusiasmo si raffredda, allora Gesù si allontana dalla Galilea per dedicarsi alla formazione del piccolo gruppo dei discepoli fedeli, dai quali ottiene l’adesione incondizionata con la confessione di Cesarea; si tratta di una svolta decisiva, a partire dalla quale tutto si orienta verso Gerusalemme, dove si consuma il dramma della passione, coronato infine dalla risposta vittoriosa di Dio: la risurrezione.

E’, quindi, il paradosso di Gesù, incompreso e respinto dagli uomini ma inviato ed esaltato da Dio, che interessa soprattutto il Vangelo di Marco, il quale si preoccupa meno di sviluppare l’insegnamento del Maestro e riferisce poco le sue parole. Il suo tema essenziale è la manifestazione del Messia crocifisso.

 

3. TEOLOGIA DI MARCO

 

Benché avvolto nell’alone di Pietro, il Vangelo di Marco, considerato dagli studiosi come il primo dei quattro a livello cronologico, non godette nei secoli cristiani di grande popolarità, sovrastato come fu da quello di Matteo, del quale si credeva fosse una specie di riassunto. Solo in epoca più recente questo scritto è stato oggetto di grande interesse, perché fu considerato come l’espressione significativa della prima predicazione della Chiesa, indirizzata a cristiani di origine pagana, a coloro, cioè, che erano già avviati a una “iniziazione” del mistero cristiano (i catecumeni), a coloro che avevano già sentito il primo annuncio e avevano già avuto il primo slancio della fede, ma che ora dovevano giungere a una più profonda comprensione del mistero di Gesù. Una conoscenza non tanto a livello dottrinale e teologico, quanto a livello di fede e di esistenza.

Un testo illuminante è Mc. 4,11 dove si parla di coloro che sono “dentro” (e comprendono) e di coloro che sono “fuori” (e non comprendono); l’iniziazione è un viaggio dall’esterno all’interno, dalla periferia al centro, da una conoscenza per sentito dire a un’esperienza personale. Il mistero cristiano lo si coglie solo dall’interno.

La domanda a cui l’evangelista vuol rispondere nel suo Vangelo è: “Chi è Gesù?”. Ma accanto a questa prima domanda e parallela ad essa ve n’è una seconda: “Chi è il discepolo?”. Sono due facce del medesimo mistero: la “via” di Gesù è la stessa “via” del discepolo.

Per rispondere a queste due domande (Chi è Gesù? Chi è il discepolo?), c’è innanzitutto da precisare che, nel Vangelo di Marco, la rivelazione progressiva del mistero di Gesù e del discepolo non avviene solo attraverso discorsi progressivi, sempre più espliciti, ma attraverso una storia che, man mano che si vive, si chiarisce: il Vangelo è racconto, dramma, storia, non una dottrina che si apprende, o un catechismo che si impara a memoria. Se si vuol capire, se si vuol leggere dall’interno, bisogna essere coinvolto in quella storia, si deve vivere la sequela, Non c’è posto per l’osservatore neutrale.

Marco non si limita a rivelare poco a poco il mistero cristiano (chi è Gesù?), ma si preoccupa di condurre il lettore a scoprire le proprie paure, le proprie resistenze (chi è il discepolo?). Così il Vangelo si muove contemporaneamente su due linee: la rivelazione del mistero di Cristo e la manifestazione del cuore dell’uomo. E’ il continuo scontro fra questi due aspetti che fa di Mc. un vangelo attuale, drammatico e inquietante. L’uomo vede i gesti di Gesù, sente le sue parole, ma resta incredulo. I motivi di questa resistenza vengono dal suo cuore “malato” (Mc. 7, 17-23), che Gesù è venuto a guarire.

Gesù non ha rivelato subito la sua Persona, ha voluto essere un “Messia nascosto”. Infatti, a più riprese, nel ritratto che Mc. delinea di Gesù, si avverte un senso di penombra: di fronte ai demoni che lo riconoscono Figlio di Dio, di fronte ai miracolati che lo vorrebbero acclamare Messia e Salvatore, Gesù oppone quello che è stato definito “il segreto messianico”. In realtà, egli vuole solo progressivamente svelare il mistero della sua Persona e in particolare “la via della croce” come l’unico cammino per raggiungere il suo pieno svelamento. E’ sulla croce, infatti, che Gesù va riconosciuto come Messia e Salvatore.

La Crocifissione non è sconfitta, ma il trionfo di Cristo, ne è prova il fatto che Mc. fa terminare il suo Vangelo con la professione di fede di un pagano, il centurione, che riconosce in Gesù il Figlio di Dio, proprio al momento della sua morte. “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”. Il Vangelo di Marco si potrebbe chiudere così, difatti egli fa solo un breve cenno alla Risurrezione, parlando del sepolcro vuoto, e il racconto delle apparizioni (Mc. 16,9-20) non è suo: è chiamato, infatti, dagli studiosi “finale canonica di Marco”, cioè fa parte delle Scritture ispirate, quindi ritenuta canonica (del Canone biblico), anche se non necessariamente redatta da Marco.

Per Mc. il momento del trionfo di Cristo è la Croce, e anche se scrive per i Romani, pagani (la Croce per loro era un scandalo), il discorso è diretto a noi, perché spesso anche noi rifiutiamo la nostra croce (“chi è il discepolo?”), invece di imitare quella del Maestro (“chi è Gesù?”). Solo adesso possiamo rispondere alle due domande che Mc. si propone di dare una risposta nel suo Vangelo: Chi è Gesù? E’ il Figlio di Dio che rivela tutto il suo amore per l’uomo, morendo in Croce. Chi è il discepolo? Colui che, come Cristo, accetta la propria croce , sull’esempio del Maestro, come mezzo di salvezza per se e per gli altri. Potremmo, perciò, leggere idealmente questo Vangelo come un itinerario che comprende varie tappe, in cui si mescolano oscurità e luce, distribuite in due grandi momenti.

Il primo (capitoli 1-8), che ha la sua vera vetta nella scena di Cesarea di Filippo ove Pietro riconosce Gesù come “Cristo”, parola greca che traduce quella ebraica di “Messia” (Mc.8, 27-29). Da quel vertice si deve procedere verso un’altra vetta più alta ed è nel secondo movimento del Vangelo (dal cap. 8 alla fine), dove si scopre il vero segreto di Gesù di Nazareth.

Attraverso una “via” spesso evocata (Mc. 8,27; 9, 33-34, 10,17.32.46.52), attraverso tre annunci di Gesù sul suo destino di morte e di gloria (Mc. 8,31, 9,31, 10, 32-34), attraverso la sequela sui passi di Cristo (Mc. 8,34; 10, 21.28.32.52), si giunge sul colle della Crocifissione ed è lì che nelle parole del centurione romano è svelato il mistero ultimo di Gesù: quell’uomo morto in croce è il Figlio di Dio (Mc. 15,39).

 

B- LA CHIAMATA DEI PRIMI DISCEPOLI

Dal Vangelo di Marco 1,16-20

 

“16 Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. 18 E subito, lasciate le reti, lo seguirono. 19 Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. 20 Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono”.

 

1. La chiamata dei primi discepoli

 

La chiamata dei primi quattro discepoli vuole essere un esempio concreto di conversione. Non è la conversione proposta agli specialisti del Regno di Dio, ma è semplicemente la conversione necessaria per essere cristiani.

L’appello di Cristo esige un distacco, non si tratta, però, di lasciare le reti o un lavoro, ma più a fondo si tratta di lasciare le ricchezze (Mc. 10,21), di abbandonare la strada del dominio e del potere, di smantellare quell’idea di Dio che noi stessi abbiamo costruito a difesa dei nostri privilegi (Mc. 8,34).

Seguire significa percorrere la strada del Maestro, compiere i suoi gesti di preferenza (preferire coloro che gli uomini emarginano e che invece Dio ama; preferirli non perché solo loro contano, ma perché li abbiamo emarginati).

Gesù non incontra l’uomo in una sfera particolarmente religiosa o comunque privilegiata, ma sulla riva del lago, là dove l’uomo veramente vive, nella vita di tutti i giorni.

Dunque è il termine “seguire” che caratterizza il discepolo, non il termine “imparare”. E’ significativo il fatto che non è in primo piano la dottrina, ma una persona e un progetto di esistenza, per questo l’essere discepolo è una condizione permanente.

 

2. Il tema della sequela ci porta al centro della fede cristiana.

 

C’è chi crede in Dio e in una dottrina religiosa, ma non si tratta spesso, nella sostanza, del Dio che si è rivelato in Gesù Cristo; può persino trattarsi di un Dio magico, costruito per risolvere i nostri conflitti e le nostre ansie; comunque è una fede che non si misura, concretamente, sul progetto messianico del vangelo; anche i farisei erano credenti in Dio, ma hanno ugualmente rifiutato la strada di Gesù, che è stata quelle della croce: pensavano che Dio avrebbe percorso altre strade. C’è chi vive nella logica della Croce, ma non scorge in essa il volto di Dio: non è ancora l’uomo della sequela.  C’è infine chi vive la logica della Croce e in essa scopre il volto di Dio: costui è l’uomo della sequela.

 

3. Esegesi

 

“Passando poi lungo…”: la Chiesa primitiva sapeva che alcuni dei suoi discepoli erano stati con lui fin dal tempo di Giovanni (At. 1,21-25; 10,37), ecco perché Mc. pone questo episodio all’inizio del ministero galilaico.

Benché le parole diano l’impressione di un incontro quasi casuale, i verbi “paragein” e parerchesthai” (passare vicino), quando sono attribuiti a Gesù nei vangeli, si trovano in racconti epifanici (Mt. 9,27; 20,30; Lc. 18,37; Mc. 2,14; 6,48).

Nell’A.T. quando si dice che Dio (1 Re 19,11; 2 Sam. 23,4), la sua bontà (Ez. 33,19), oppure la sua gloria (Ez. 33,22) “passano vicino”, si vuole intendere che essi “si manifestano”. Qui l’espressione preannuncia una manifestazione del potere messianico di Gesù per crearsi dei discepoli.

 

“Venite dietro a me”: Gesù fa una richiesta imperativa ai suoi discepoli e impone una nuova direzione alle loro esistenze. Non meno importante è l’effetto immediato dei suoi appelli.

 

“Vide Giacomo e Giovanni”: Mc. combina assieme gli eventi in modo che i tre discepoli privilegiati siano i primi ad essere chiamati (v. il contrasto tra Lc. 5, 1-11; Gv. 1,37.42.43)

 

“Lasciato il loro padre Zebedeo”: Mc. dà l’impressione che Pietro e Andrea abbiano risposto alla chiamata di Gesù abbandonando la loro professione, mentre Giacomo e Giovanni risposero troncando ogni legame di famiglia. Può darsi che ciò sia esagerato, ma l’intenzione primaria di Marco è di mostrare che il discepolato comporta la rinuncia ai possedimenti (cfr. 10,21) e ai legami di famiglia (10,29).

 

4. Il tema centrale della chiamata, della sequela e della tipologia del ministero

“Seguitemi, Vi farò pescatori di uomini”(Mc 1,17)

 

Può apparire come una frase misteriosa, invece non c’è niente di più entusiasmante che iniziare un cammino come quello quaresimale e di formazione cristiana in generale, con un appello del genere. Gesù è anche un ottimo pedagogo: chiama Andrea e Simone dalla loro realtà personale di pescatori e a partire da lì, li esorta con decisione a vivere la dimensione del servizio completo dell’umanità. C’è un enorme rispetto per ciò che è la persona ed una gradualità di cammini di crescita. Gesù comincia il suo ministero, e chiama Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni: “seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Non pescheranno più pesci nel lago, ma diventeranno collaboratori per la vita del mondo intero. La chiamata di Dio apre prospettive immensamente più grandi di quelle dei nostri progetti umani. Il vivere la vita nella fede, nell’adesione al progetto del Signore, dà dimensioni più ampie e senso infinito alla nostra vita. Perché la nostra vita si apre ad una dimensione universale e diviene una missione.

 

5. Anche noi siamo chiamati ad essere “pescatori di uomini”.

 

L’espressione non richiama a prima vista cose molto positive: prendere la gente all’amo, nella rete. L’uomo non può essere considerato uno da adescare, da attirare per metterlo nel sacco.  Oggi però molti lo fanno: la pubblicità e i vari centri del potere mediatico cercano affannosamente di catturare le persone, conquistare l’audience, etc…

Ma ai quattro chiamati Gesù dice prima: “seguitemi”. Quindi: guardate come io “prendo i pesci”, come incontro le persone. E Gesù non ha usato alcuna forma di violenza, di condizionamento, di adescamento. Eppure su molti ha avuto un effetto “vincente”: comunicare l’amore di Dio, far percepire che “tu sei voluto, per il Padre sei importante”.

Finire nella rete del Padre di Gesù dunque è una bella cosa, per noi e anche per gli altri: perché è la rete del suo amore.

“Voi che vi siete rivestiti di Cristo e, seguendo la nostra guida, mediante la parola di Dio siete stati tratti come pesciolini all’amo fuori dei gorghi di questo mondo, dite dunque: ‘In noi è mutata la natura delle cose. Infatti i pesci che sono estratti dal mare, muoiono. Gli apostoli invece ci hanno estratti dal mare di questo mondo e ci hanno pescati perché da morti fossimo vivificati. Finché eravamo nel mondo i nostri occhi guardavano verso il profondo dell’abisso e la nostra vita era immersa nel fango, ma, dopo che siamo stati strappati ai flutti, abbiamo cominciato a vedere il sole abbiamo cominciato a contemplare la vera luce ed emozionati da una gioia straordinaria, diciamo all’anima nostra: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio»” (S. Girolamo, Omelia sul salmo 41 ai neofiti; XIII settimana del tempo ordinario, giovedì, ufficio delle letture).

Tutti quanti possiamo e dobbiamo seguire Gesù, e diventare pescatori insieme a lui, anche solo con piccoli segni: uno sguardo, una parola, una mano. Collaboratori nel portare la buona notizia del Regno, dell’amore gratuito del Padre.

 

6. Gesù ci chiama

 

Questo brano è meglio conosciuto come “la chiamata dei primi quattro discepoli”, e la versione di Marco è pressoché identica a quella di Matteo, mentre in Luca e Giovanni compaiono altri interessanti particolari: Luca ci narra come Gesù convince Simon Pietro a seguirlo vincendo le sue resistenze con il segno della pesca miracolosa, mentre Giovanni ci riporta – dopo la chiamata di Filippo –  lo stupefacente colloquio con Natanaele, nel quale Gesù vince la diffidenza di costui, rivelandogli di averlo visto sotto un fico, cosa che nessuno avrebbe potuto sapere all’infuori dello stesso Natanaele e che induce il medesimo a riconoscere in Chi gli parla il “Figlio di Dio “ e il “re d’Israele”.

Il senso della narrazione della chiamata dei primi discepoli (sono due coppie di fratelli, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni) lo si comprende meglio, però, leggendo i versetti immediatamente precedenti del Vangelo di Marco, dove si dice che “Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”.

Dunque Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, aveva iniziato la predicazione da solo in Galilea, annunciando l’avvento del regno di Dio.

Ma già “passando lungo il mare di Galilea” Gesù comincia a chiamare alcuni uomini e chiede loro di seguirlo, senza dire altro.

 

7.E’ un momento molto importante.

 

La missione di Gesù non si realizza pienamente e non ha senso senza la collaborazione di altri uomini, senza il contributo di ciascuno di noi. Per questo Egli, lungo la strada che percorre, chiama coloro che trova e che a loro volta stanno percorrendo una strada nella vita. E si pone dinanzi a costoro come alternativa esistenziale, con una proposta secca e concisa, senza troppe spiegazioni: ma è una proposta, all’evidenza, estremamente interessante, se quelle persone cominciano a rispondere positivamente. La risposta che cercavano a tanti interrogativi, a tanti vicoli ciechi, a mille domande senza speranza è finalmente giunta, si è presentata lì dinanzi a loro nella forma concreta di un uomo che li chiama a venir fuori dalla loro esistenza per cominciare una vita completamente nuova. Proprio come Dio aveva chiamato Abramo, dicendogli: “Esci dalla tua terra e va’ nel paese che Io ti indicherò”. E Abramo non aveva chiesto altre spiegazioni, ma aveva creduto e giocato la sua vita in quell’invito e nella promessa di vera vita che lo aveva seguito. E proprio come l’angelo Gabriele aveva portato a Maria da parte di Dio la proposta incredibile di essere Madre del Signore. Anche lì, non c’erano state molte parole o motivazioni, e Maria aveva scelto col suo sì sul momento, senza prendere tempo, solo alla stregua della fiducia che riponeva nel Signore.

L’esperienza inimitabile della sequela di Cristo inizia dunque da un incontro concreto con Lui, che spontaneamente si propone alla nostra vita – forse quando meno ce lo aspettiamo – e ci chiama per nome. Incontrare Gesù è una fortuna meravigliosa, una occasione da non perdere, perché significa incontrare la chiave di volta per capire tutto il nostro essere e valorizzarlo immensamente, così come nessun’altra delle tante attività in cui giornalmente ci affanniamo riesce a fare. Non c’è più sicurezza o tradizione o garanzia che valga, perché tutto – anche se giusto e positivo – diventa comunque secondario davanti ad una figura che orienta la vita intera di ciascuno di noi. Perciò i discepoli chiamati da Gesù lasciano tutto e lo seguono: la percezione della grandezza di ciò che si prospetta è talmente immensa che nulla di ciò che è la loro realtà attuale può indurli a resistere, ed essi non si volgono indietro, ma guardano ad un futuro che si annuncia di una intensità senza pari.

Ma come fa Gesù ad avere tanta forza di convinzione, senza neanche bisogno di tanti discorsi ed argomenti, quanto soltanto per mezzo di una chiamata?

Non dovremmo, in realtà, meravigliarci poi molto di questo. Sappiamo bene anche noi che quando ci proponiamo a qualcuno chiamandolo, quello ci risponde e ci segue – qualunque cosa gli proponiamo – nella misura in cui ci riconosce una credibilità, nella misura in cui sa o almeno intuisce che non gli stiamo preparando una delle solite buggerature, ma gli stiamo facendo una proposta seria e vantaggiosa e, soprattutto, siamo in grado di mantenere le promesse che facciamo.

Questo è quello che i primi discepoli hanno trovato nella voce di Gesù che li chiamava: una voce rassicurante, ricca di novità, di speranza, di nuovi orizzonti, una voce alternativa in mezzo al totale grigiore e all’ingiustizia di una vita piatta e rassegnata.

 

8. Ma la sola voce non basta. C’è di più: lo sguardo di Gesù

 

I vangeli ci parlano abbastanza spesso di questo sguardo di Gesù che si posa sulle persone da Lui individuate per un motivo o per un altro. Uno sguardo che ha qualcosa di completamente diverso dagli altri sguardi. Come siamo abituati a sguardi di diffidenza, di invidia, di rancore, di falsa ammirazione, di ipocrisia, di scherno, che esprimono le infinite maschere poste nei rapporti con gli altri! E quanto spesso siamo anche noi a dispensare ai nostri simili – finanche quelli a noi più vicini, moglie o marito e figli compresi – sguardi di questo stesso tipo, così lontani dalla dimensione della verità e della libertà che sola può portare la pace! Lo sguardo di Gesù è tutt’altro, è qualcosa di inimitabile ed inesprimibile. Non è questione di magia o di magnetismo, come forse qualcuno potrebbe pensare.

Ecco perché nei vangeli troviamo frequenti espressioni come queste: “Vide Simone e Andrea mentre gettavano le reti”;  “vide sulla barca anche Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti”, e li chiamò. Ma anche: “Vide Levi seduto al banco”.

Ed anche, soprattutto, nell’episodio del giovane ricco, in cui leggiamo: “Gesù, fissatolo, lo amò”.

E poi, quando parla ai discepoli della difficoltà di entrare nel regno dei cieli, anche lì, rispondendo a loro che chiedono chi mai potrà salvarsi, Egli “guardandoli” risponde che ciò è impossibile presso gli uomini ma non presso Dio.

Infine, anche dalla croce Gesù guarda in Giovanni l’umanità intera e l’affida a Maria (“Donna, ecco tuo figlio”).

Qual è il segreto profondo di questo sguardo, che lo rende così potente da indurre persone normali e salde come noi a cambiare la propria vita e a giocarla nell’esperienza della sua sequela?

 

9. Il segreto è l’Amore.

 

Gesù incrocia il suo sguardo con quello dell’uomo e lo scruta nell’intimo della sua esistenza, fin nelle profondità dell’anima dove nessun altro può arrivare: e così Egli sceglie ciascuno di noi e ci ama.

Non ci guarda per giudicarci, non ci fissa per condannarci, non punta l’indice con severità, ma volge verso di noi uno sguardo ricco di misericordia, di potenza liberatrice, una sguardo taumaturgico che guarisce dalle infermità, che ci invita ad uscire da quel ginepraio di peccati nel quale viviamo avviluppati ogni giorno, forse senza più speranza di uscita, come in un diabolico labirinto che ci imprigiona e ci impedisce di muoverci liberamente.

Quello sguardo è l’unica possibilità di vita, è l’unica alternativa ad una esistenza disillusa che non promette più nulla di positivo. E’ l’Amore del buon Samaritano che si china sulle nostre ferite, quelle che tanti altri, compresi coloro da cui ci aspettavamo di più, hanno schivato senza troppi complimenti (o forse – ciò che è ancora peggio – con tanti complimenti ipocriti).

Accogliere coscientemente e in piena libertà quello sguardo è dunque già mettere piede nell’eternità, in una dimensione di vita nuova che non ha più paura della debolezza, della sconfitta, della morte, perché sa che l’unica cosa che conta veramente è di restare aggrappati a Colui che solo è in grado di strapparci definitivamente da quella morte.

 

10. E’ così difficile accogliere lo sguardo di Gesù?

 

Forse non è poi tanto difficile, per noi che siamo, nell’epoca attuale, così abituati e pronti ad accogliere molti altri generi di sguardi persuasivi: quello del potere, quello del sesso, quello della vita comoda e deresponsabilizzata, quello dell’accumulo di vanti e onori, e chi più ne ha più ne metta.

Ognuno, purché si fermi un solo momento a meditare, troverà ben presto qual è lo sguardo dal quale oggi si sta lasciando sedurre, qual è la direzione verso cui ha orientato la navigazione della sua esistenza.

Che peccato e che occasione perduta sarebbe se avessimo scelto di affidare qualcosa di irripetibile ed importante come la nostra vita all’occhio di qualcuno che è pronto a prometterci beni tanto immediati quanto effimeri per poi tradirci e lasciarci nella disperazione e nel non senso!

Per questo l’esperienza della chiamata dei discepoli ci invita a dare una risposta cosciente ed avveduta, a seguire una promessa di novità e rischiare la nostra vita in un cammino che non potrà deluderci, perché guidato da uno sguardo di amore veramente disinteressato per ciascuno di noi.

Corso di formazione biblicaultima modifica: 2012-02-25T00:05:00+01:00da pace2005
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