Gaeta (Lt). L’omelia dell’Arcivescovo durante la messa crismale- Giovedì Santo 2012

arci_donorio.jpgCome non sentirsi intensamente coinvolti e partecipi di questa Eucaristia, nella quale, la solenne Benedizione degli Oli e l’apertura ufficiale del V Sinodo della santa Chiesa di Gaeta, costituiscono un momento altissimo, ecclesiale e storico, della vita della nostra Arcidiocesi?
Questa sera, siamo testimoni di un evento, che, provvidenzialmente, si incastona tra il 50° dell’apertura del Concilio e 20° della promulgazione del CCC e l’indizione dell’Anno della Fede sulla nuova evangelizzazione, tema del sinodo dei Vescovi a ottobre.
La Parola, che viene consegnata alla nostra Chiesa in questa celebrazione memorabile, è l’icona evangelica di Gesù, proclamante, nella sinagoga di Nazareth, l’oggi di Dio per l’umanità; e la nostra Chiesa di Gaeta vuol farla propria, e perciò ripete con trepidante gioia: “Lo Spirito del Signore è su di me” per annunziare la bella e buona notizia del Vangelo e compiere “quella novità di vita , che Gesù ha portato tra noi con la sua persona”, secondo la pregnante espressione di sant’Ireneo.
Siamo però realisti! La Chiesa di Gaeta è ben consapevole da una parte che il Sinodo è καιρòς (kairòs) nel quale il Signore svela e rivela i suoi progetti per noi, ma d’altra parte essa si rende conto che aver pretesa di evangelizzare, senza prima essere stata evangelizzata, è bestemmia dinanzi a Dio e fallimento sicuro, perché noi siamo i primi destinatari, noi i primi affidatari della Parola. Un grande teologo protestante diceva: “Solo una Ecclesia audiens può essere una Ecclesia docens, capace di trasmettere il Vangelo e offrire parole di senso all’uomo contemporaneo. Una Chiesa quindi pienamente sottomessa alla Parola di Dio, nutrita da essa e da essa liberata”.
Molti dicono di credere, eppure non sono né religiosi né cristiani, e pure proclamano una fede in un “Dio” della vita, dell’amore, dell’affare e veniamo a scoprire che la parola “Dio” diventa sommamente ambigua, perché ognuno riveste questa parola, “Dio”, con immagini e senso, a proprio tornaconto.
Il nostro impegno è far sì che non si creda in un Dio qualunque né in un Gesù Cristo qualunque, ma dobbiamo compiere ogni sforzo perché si abbia fede nel Signore Gesù del Vangelo, e nel Vangelo di Cristo Gesù. Il Vangelo non è un libro, né solo un annuncio, ma deve incarnarsi nella vita del credente.
Questo, fratelli e sorelle, questo carissimi sinodali, vuol essere lo scopo del nostro V Sinodo Diocesano! Con i lavori del Sinodo la nostra Chiesa riannunzierà, con freschezza e convinzione nuova, Cristo Gesù, riaffermando la consolidata comunione tra presbiteri, diaconi e me, e tra noi e il popolo cristiano.
Le parole di Gesù nella Sinagoga di Nazareth, fatte proprie dalla Chiesa di Gaeta, se riascoltate in profondità, assumono per ciascuno il tono di un imperativo urgente, solo se volgiamo lo sguardo sulla realtà che ci circonda.
Carissimi, comprendiamo realmente le fatiche e le sfide di fronte alle quali è posta di continuo la nostra fede e la nostra Chiesa?
Lo stordimento derivante dal carattere consumistico ed edonistico dei nostri stili di vita, il ripiegamento supino sul presente che genera una vita scialba, la riduzione della pratica religiosa, il disimpegno delle famiglie a trasmettere ai figli la propria fede, la separazione tra fede e vita anche tra chi si professa cristiano ormai è cosa generalizzata; così è raro confrontarsi con cristiani dalla fede adulta, poiché oltre la prima catechesi ricevuta da fanciulli, non si è andati più avanti, e quel vecchio nucleo di annuncio e nozioni o è rimasto nebuloso, o si è rarefatto del tutto.
In un simile contesto di ignoranza o indifferenza è urgente per la Chiesa focalizzarsi nello specifico della sua natura e missione: offrire cioè all’uomo contemporaneo il grande dono dell’incontro personale con Cristo Gesù, vivo, presente e attivo nella storia, in modo che Gesù diventi reale persona, creduta e narrata da una fede viva dai singoli e dalle nostre comunità.
Forse oggi occorrerebbero meno chiese, ma più comunità, quali luoghi ideali ove s’incontra nella quotidianità il Vangelo, comunità adulte, capaci di dar ragione della propria fede senza fughe (indietro o avanti) Chiesa e comunità unite in un leb šomeª’ (1Re 3,9), cioè nel biblico cuore ascoltante, e di Dio e dell’uomo.
Emerge allora che la domanda sulle strategie di come annunziare il Vangelo e su come trasmettere la fede, non è da indirizzare all’esterno, ma deve divenire domanda cocente che riguarda noi Chiesa, circa il nostro essere e operare.
Papa Benedetto frequentemente ci chiama a riflettere sul problema dell’infecondità dell’evangelizzazione oggi, della fede nella nostra epoca, della catechesi nei tempi moderni; problema che il Papa individua nello snodo ecclesiologico, che va diritto sulla capacità della Chiesa di porsi come reale comunità annunziante, e come fraternità, che vive ciò che annunzia!
Egli nel Motu Proprio Porta Fidei così annota: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando invece a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, – continua il Papa – questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato» (n. 2).
Oggi la fede cristiana non si può presupporre, ma si deve incessantemente proporre. Ogni Sinodo per sua natura riunisce varie componenti della Chiesa e le interpella secondo le molteplici sensibilità e competenze. Compito di ciascuno sarà di operare saggio discernimento, nella constatazione che, spesso emerge distanza tra teoria e prassi, tra progettazione pastorale e realizzazione quotidiana. Siamo chiamati a operare una sintesi e porci in attento e reciproco dialogo nel proporre itinerari pastorali tenendo conto delle realtà ecclesiali, locali, e insieme dell’accelerazione dei mutamenti delle nuove generazioni, sempre più agnostiche, indifferenti o addirittura ammiccanti verso altre fumose religioni del “fai da te”.
Per queste realtà poco consolanti i Vescovi dicono: “Dal concilio, la Chiesa in Italia ha imparato a fissare il suo sguardo nel mondo contemporaneo e nella società italiana: uno sguardo critico e fiducioso a un tempo, sempre carico di quello stesso amore con cui Dio ama il mondo (cf. Gv 3,16)”.
Cristo Gesù, per un Sinodo fruttuoso, ci chiede supplemento di obbedienza a Lui, Lui fattosi obbediente fino alla morte; Egli vuole ancora supplemento di amore alla Chiesa Gaetana e alle nostre comunità; Egli chiede anche supplemento di conversione a quanto il Sinodo proporrà perché come già ci ha detto S. Ireneo, “quando Cristo è presente, c’è novità di vita e di opere” e il cuore deve spalancarsi e le vele tendersi per prendere il largo.
Da questa disponibilità di mente e cuore, scaturirà profonda la convinzione sulle opzioni del Sinodo. Da qui anche la convinzione sulla bontà pastorale del lavorare in sintonia di cuori e di intenti.
Accettare norme e indicazioni del Sinodo sarà anche segno evidente di stare nella Chiesa una, nella quale, come dicevano gli antichi Padri, deve esserci “unum velle et unum nolle”, cioè volere e non volere insieme. S. Cipriano a questo riguardo ricorda: “Nessuno può avere Dio per Padre se non ha la Chiesa per Madre”. E per noi, carissimi, Madre è la Chiesa di Gaeta! Il Sinodo è un τòπος (tòpos) teologico, ecco che a Dio che parla è dovuta l’obbedienza della fede (DV5).
Ha scritto il grande storico, il compianto Padre Giacomo Martina: “La storia della Chiesa ci insegna a non essere troppo pessimisti, però neanche ad illuderci di ottenere cambiamenti sensazionali. Sì però ad avere tanta fiducia!” Questa la dobbiamo avere!
Le difficoltà saranno superate e si procederà con pazienza e gradualità in una visione aperta ai tempi che cambiano. A noi incombe, però, l’obbligo di cominciare, altrimenti il rimanere fermi, mentre la società continua a cambiare, ci obbliga poi a correre per rincorrerla.
Sinodali carissimi, diamo forma alla nostra vita sacerdotale e alla nostra realtà di battezzati, affinché sappiamo riscoprire, in questa esperienza esaltante di Sinodo, fervore e ricchezza, propria di ciascuno, e la Chiesa di Gaeta fin da ora vi ringrazia, perché insieme possiamo costruire la sua bellezza, che saprà ancora attirare perché essa può essere ancora sale e luce per vicini e lontani
Ci accompagni il monito di San Paolo: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare, per discernere la volontà di Dio, vale a dire ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2).
La Vergine Maria e i nostri santi Patroni ci assistano nei lavori sinodali perché il mandato evangelico, sempre antico e nuovo, dell’evangelizzazione e della missione, ci trovi perdutamente innamorati di Cristo per poter trasfigurare la nostra Chiesa e le nostre comunità.
Attingiamo luce e forza da Cristo Gesù, che sempre ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia per farci gustare il dono, la dolcezza e la bellezza della sua Presenza! Amen!”.

Gaeta (Lt). L’omelia dell’Arcivescovo durante la messa crismale- Giovedì Santo 2012ultima modifica: 2012-04-10T17:56:00+02:00da pace2005
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