Il testo della meditazione del secondo ritiro mensile. Dicembre 2011

natale1114534.jpgUSMI – ARCIDIOCESI DI GAETA (Lt)

RITIRO SPIRITUALE – MESE DI DICEMBRE

Domenica 11 dicembre 2011, ore 9,30

Meditazione proposta da padre Antonio Rungi, passionista

 

La parola di Dio e la vita consacrata (2)

 

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

 

1.Dal Vangelo di San Giovanni, cap.1. Il prologo

[1] In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. [2] Egli era in principio presso Dio: [3] tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. [4] In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; [5] la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. [6] Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. [7] Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. [8] Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. [9] Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. [10] Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. [11] Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. [12] A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, [13] i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. [14] E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. [15] Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. [16] Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. [17] Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. [18] Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

 

Commento

San Giovanni identifica la Luce con la Vita, cioè con la Vita divina. Dio è Luce. «Chi cammina nella luce» entra a far parte della comunità di Gesù, che è Luce del mondo.

Luce vera, che illumina ogni uomo. Illumina dall’interno; chi appena è toccato dal raggio di Luce che è Gesù, diventa a sua volta una sorgente luminosa, press’a poco come succede dell’acqua viva di cui parla Gesù.

Lui darà l’acqua viva, ma quest’acqua viva diventa, in chi la riceve, una «sorgente d’acqua zampillante nella vita eterna» (Gv 4,14).

In poche parole: toccati dalla luce si diventa luce; irrigati di acqua, si diventa sorgenti; colpiti dall’Amore che è Dio, si diventa fonte di amore. Egli veniva nel mondo. Questa frase Giovanni la tradurrà in un’espressione ancora più potente: «E il Verbo si è fatto carne». Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui ma il mondo non lo riconobbe. Il mondo, l’universo, l’umanità. Il mondo che non riconobbe il Verbo sono le forze ostili a Gesù, dominate da Satana; cioè sono le tenebre. Le tenebre rifiutano la Luce; le tenebre sono in noi, prodotte dal peccato; si ricompongono continuamente come banchi di nebbia. Bisogna che la Luce penetri continuamente in noi.

 

Venne in casa sua (il popolo eletto, Israele) e i suoi non lo accolsero: ecco il rifiuto d’Israele. Ma a quelli che lo accolsero (accogliere vuol dire ascoltarne la parola; Giovanni dirà più tardi «credono nel suo Nome»; credere = ascolto della Parola; il nome è la realtà più profonda dell’essere, perché nel nome è presente chi lo porta), dette il potere di diventare figli di Dio. Ecco il sogno di Dio Padre su ciascuno di noi: renderci conformi all’immagine del Figlio suo; divinizzarci, renderci figli di Dio.

 

A quelli che credono nel suo nome, lui che né sangue, né volere di carne, né volere di uomo ma Dio ha generato. Secondo questa lettura del Vangelo di San Giovanni in alcuni codici, si parla della nascita verginale di Gesù. Secondo altri codici si legge: «quelli che credono nel suo nome, i quali né sangue, né volere di carne, né volere di uomo, ma Dio ha generato»; si parla allora della nostra nascita verginale, da Maria per opera dello Spirito Santo, che si realizza soprattutto nella morte. Con la morte si tocca il vertice dell’amore; la morte ci introduce nell’eternità. L’istante della morte è illuminato dal Cristo; è un istante che partecipa di questo tempo e dell’evo, dell’eternità, come in uno spartiacque difficilmente definibile.

Nella frase «il Verbo che illumina ogni uomo» c’è in germe la teologia degli infedeli, di quelli che non credono e che ugualmente sono chiamati alla fede. Al versetto 14 scocca la frase folgorante: «E il Verbo si è fatto carne» (carne, nel significato di S. Giovanni, indica sempre l’essere umano vulnerato dal peccato e dalla morte; quindi nella sua estrema fragilità).

 

Il Verbo è Dio; la carne è l’uomo: due poli. Tra questa bipolarità, cioè tra questi due poli, si ha la scintilla, che è Gesù, interamente Dio e interamente uomo. Gli estremi si toccano. Si tratta di una vera e propria  Collisione spirituale, una fusione e amalgama dell’infinito col finito. Nella persona del Verbo Incarnato la natura divina e la natura umana si uniscono per costituire il Salvatore, l’Emmanuele, il Dio con noi.

 

E dimorò tra noi: piantò la tenda, il tabernacolo in mezzo a noi. Dal contatto dell’infinito col finito, noi ci sentiamo avvolti interamente dall’amore di Dio, e ci sentiamo di amare il prossimo.

 

Poi il prologo diventa un inno corale: «noi abbiamo contemplato la sua Gloria». Gloria nel significato ebraico indica luce, oltre che maestà. «Il Verbo era la Luce vera». Quando «il Verbo si è fatto carne» noi abbiamo potuto «contemplare la sua Gloria».

Giovanni rivive l’esperienza della Trasfigurazione di Gesù sul monte; «mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante» (Le 9,29).

È un anticipo della nostra risurrezione, della nostra divinizzazione. Gloria che come Figlio unigenito egli ha dal Padre, è la stessa Gloria del Figlio unigenito; unigenito vuol dire anche dilettissimo. Figlio unigenito che è venuto per renderci figli; noi siamo figli nel Figlio. Pieno di Grazia e di Verità. Grazia è fascino, grazia è bellezza, grazia è la vita divina. Verità è Luce, è Vita, è Amore.

 

2.Il Verbo di Dio ci fa uscire dal silenzio e dalla solitudine. L’isolamento, male del nostro tempo.

 

Noi siamo figli nel Figlio. Solo in Gesù noi possiamo ritrovarci a fare comunità. Solo Lui ha rotto il nostro isolamento. Il peccato ci aveva dissociati in noi stessi, nei fratelli, nella natura, e in Dio. Peccato, nel significato ebraico, significa macchia; la parola «stài» (peccato) indica anche bersaglio fallito, rottura, dissociazione o, con un termine marxista, alienazione. Nel significato greco «amorfìa» indica strada sbagliata, deviazione, indica solitudine, isolamento di chi è tagliato fuori da tutto. L’uomo è solo perché è uomo; del resto ogni creatura è sola.

Mai come oggi noi sentiamo l’isolamento, la solitudine, anche nelle nostre comunità religiose o fraternità. Si sentono soli le giovani religiose e le religiose anziane, per motivi diversi e non sempre comprensibili e leggibili alla luce della compagnia di Gesù, che dovremmo avvertire comunque nella nostra vita di consacrati e di persone che sono in perenne dialogo con il Signore nella preghiera, nell’orazione, nell’ascolto della parola di Dio, nell’eucaristia, nella carità fraterna.

La solitudine se è in Dio diventa una gioia; se è in noi stessi, diventa un tormento, un inferno. Dio comunque non è solitudine, è comunione di persone, è relazione, è amore.

Dio è uno e trino. Uno nella natura, Tre nelle Persone, cioè nelle relazioni. Da qui la necessità di vivere uniti nella carità e nell’amore, pur nella diversità dei ruoli e delle persone.

L’unità è un’idea cristiana che squassa tutti i continenti come un terremoto; attraversa come un guizzo di luce elettrica tutti gli animi. Mai come adesso la si sente, perché mai come adesso l’uomo avverte il suo isolamento. L’esistenzialismo è una corrente filosofica del nostro tempo che ha messo il dito sulla piaga sull’isolamento, sulla solitudine; quella solitudine disperata, che porta spesso anche al suicidio. L’uomo è solo con se stesso e da questa solitudine non esce, se non attraverso Dio che è amore. Del resto ogni creatura è sola. Ha la consapevolezza della sua solitudine. Ma Dio fin dalla creazione ha fatto uscire l’uomo dalla sua solitudine esistenziale, per aprirlo alla relazione d’amore e di fecondità.

Nel libro del Genesi si legge: «E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo”» (Gn 2,18a). E il testo non si riferisce solo al discorso sul matrimonio, ma a tutta la storia dell’uomo, compresa alla nostra storia di persone consacrate e che vivono nelle comunità religiose. Non è bene la solitudine, non è bene restare soli, non è bene lasciare soli qualsiasi sorella o consorella, cioè relegandola all’abbandono e all’emarginazione.

Dio nel costituirlo signore del mondo, della terra, dovette separarlo e gettarlo nell’isolamento. Soltanto chi è solo — ma della solitudine che è legata a Dio, e quindi non dissociata dal peccato — può affermare di essere un uomo. Questa è la grandezza dell’uomo, ma è anche il suo rischio, il suo pericolo, la sua angoscia.

Si comprende allora la bipolarità del significato di isolamento e di solitudine: può indicare l’isolamento, e diventa un tormento; può anche essere una ricchezza perché collega nel silenzio a Dio; allora è una pienezza di gioia: «beata solitudine».

 

3. Le molte facce del nostro isolamento

 

3.1. C’è il senso di isolamento che si prova quando quelli che ci hanno aiutato a dimenticare di essere soli, ci lasciano, o perché si separano da noi, o perché muoiono. La morte di una persona cara ci fa sentire il nostro isolamento più acuto, più terribile che provoca in noi una piccola morte. Basta avere le orecchie aperte all’amore, per sentire il sospiro di innumerevoli individui solitari che gemono soli intorno a noi e per tutto il mondo.

 

3.2. C’è l’isolamento inasprito quando ci si trova soli nella folla. Pur essendo circondati da tanti, bruscamente ci si rende conto del nostro assoluto isolamento. Pur stando in comunità numerose, ci si sente sole. E allora si benedicono le comunità con numeri limitati di suore o frati.

 

3.3. C’è l’isolamento di quelli che nonostante il loro sforzo di amare e di essere amati, sentono che il loro amore viene respinto. Un tale isolamento taglia i nostri vincoli con la comunità e con il mondo, ci getta nella disperazione.

3.4. L’isolamento più terribile è quello della colpa, perché il peccato è esclusivamente nostro e taglia tutti i collegamenti. Nel peccato c’è la dissociazione, l’alienazione.

 

3.5. C’è, infine, l’isolamento totale che ci fa paura: la morte: solitudine radicale, ci separa completamente. Come si può vincere l’isolamento e farlo diventare solitudine in Dio?

4. Gli aspetti religiosi della solitudine

 

La solitudine ha molti aspetti religiosi, perché sono molti i modi in cui si può cercare e sperimentare la solitudine con Dio. «Religione — diceva un filosofo — è ciò che un uomo fa con la sua solitudine».

 

4.1. C’è la solitudine del contatto con la natura che è già una piccola partecipazione a Dio. Come Gesù amava il lago, la montagna! Noi possiamo parlare senza parole agli alberi, alle nuvole, alle onde del mare, e senza parole gli alberi col loro fruscio, le nuvole col loro vagare, il mare col suo sciacquio ci rispondono; ma questa solitudine la possiamo godere solo per breve tempo; poi ci stanca.

 

4.2. C’è la solitudine artistica: per esempio, il raffinato godimento spirituale della musica, della contemplazione di un quadro, della meditazione; ma anche questa solitudine ci protegge senza isolarci.

 

Oggi l’inflazione delle parole e dei mezzi di comunicazione distrugge in noi anche il desiderio di solitudine, di tranquillità, di contatto con Dio. Arriva però il momento in cui Dio ci prende e ci scaglia nella solitudine per purificarci; è quello che il profeta diceva: «Ero solo, perché la tua mano, o Signore, era su di me».

 

Dio vuole che noi rientriamo profondamente in noi stessi; sentiremo alle radici del nostro essere lo scorrere dell’acqua viva dello Spirito Santo; sentiremo la Trinità che vive in noi. Ma questa solitudine la si trova solo nella preghiera. «Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione» (Lc 6,12).

 

La preghiera ci mette a contatto con Dio e in Dio ci mette a contatto con i fratelli, ci fa uscire dalle solitudini più tremende.

Ogni vera comunità  si forma esclusivamente in Gesù; non è possibile diversamente perché Gesù dice: «Io sono la Porta delle pecore» (Gv 10,7); non dice dell’ovile, ma delle pecore. «Chi va alle pecore per altra maniera, è un ladro e un predone» (cf Gv 10,1). Va a portar via qualcosa che non dovrebbe; non dà nulla e rovina tutto. Solo in Gesù noi possiamo comunicare con gli altri, perché solo in Dio noi facciamo contatto con gli altri esseri.

 

5.Per fare comunità ci vuole molta preghiera e tanta carità

 

La preghiera sale prima fino a Dio e poi da Dio ritorna al tu del prossimo. Tutti i cuori tendono a Dio. Ecco perché l’amore è claustrale; l’amore rinasce continuamente nella solitudine, nella preghiera.  Per fare Comunità, occorre pregare, occorre essere immersi nel Cristo. Solo la presenza dell’Eterno può aprirsi un varco fra le mura che isolano il temporale dall’eterno. Un’ora di solitudine con Dio ci avvicina infinitamente a quelli che amiamo, assai più di molte ore di contatto fisico, perché (con una frase biblica) possiamo «condurli con noi sui monti dell’eternità» (cf Es 15,17).

Nella povertà di questa solitudine con Dio è presente ogni ricchezza. In Dio noi troviamo gli altri e conosciamo noi stessi.  La crisi forte dell’isolamento viene risolta solo in Gesù. Il Verbo si fece carne e venne abitare in mezzo, venne a toglierci dalla solitudine, dall’egoismo, dal peccato e la sua presenza è vita e comunione per noi. Abitare con Gesù è pregare continuamente, senza mai stancarci. La vera solitudine subentra quando viene a mancarci l’alimento indispensabile alla nostra vita umana, cristiana e consacrata: la preghiera. In assenza della preghiera subentra la solitudine, che si compensa in tanti modi errati, compresi i falsi amori e legami, le amicizie extra-conventuali, parentali o virtuali. Scaduta la preghiera, si avverte disperatamente la solitudine. La comunità allora diventa comunità di regolamento. La solitudine viene inasprita e non si risolve. L’isolamento si risolve esclusivamente in Gesù, che è la porta delle pecore.

 

6. La gioia di pregare ci aiuta a comunicare

 

«Chi conosce la gioia del pregare, sa pure che v’è in questa esperienza qualcosa di ineffabile e che il solo modo per capirne l’intima ricchezza è quello di viverla: che cosa sia la preghiera lo si comprende pregando.

Gesù continua in noi il dono della sua preghiera, quasi chiedendo a noi in prestito la nostra mente, il nostro cuore e le nostre labbra, perché nel tempo degli uomini continui sulla terra l’orazione che Egli iniziò incarnandosi ed eternamente prosegue, con la sua stessa umanità, nel Cielo.

Nelle condizioni terrene in cui ci troviamo c’è sempre qualche fatica da compiere per pregare bene. Prima di tutto la preghiera richiede da noi l’esercizio della presenza di Dio. Per pregare occorre inoltre realizzare in noi un profondo silenzio interiore. La preghiera è vera se noi non cerchiamo noi stessi nell’orazione, ma solo il Signore. Occorre immedesimarsi nella volontà di Dio» (Giovanni Paolo II).

 

Conclusione

“A chi ho pensato quando, bambino pieno di freddo, giacevo nella mangiatoia, se non a voi? Di che ho parlato nella luce del Tabor con Mosé ed Elia se non della mia passione per voi? E per che cosa mai mi sono trascinato lungo le quattordici interminabili stazioni se non per voi? E la mia stessa divinità e l’abbraccio del Padre mio, per chi li ho mai lasciati se non per voi? Voi volete seguirmi? Volete essere chiamati miei discepoli. Allora vi guidi il sentimento che animò me: quando io, Dio per essenza, non ci ho proprio tenuto con spasimo di essere eguale a Dio, ma svuotai me stesso e mi annientai, presi figura di schiavo, divenni simile agli uomini, discesi vestito di vesti umane quotidiane al di sotto di me, in obbedienza fino alla morte, fino alla morte di croce” (H.U. von Balthasar).

Il mistero della Incarnazione di Cristo ripropone piuttosto il senso della nostra vocazione; quella vocazione che ogni anno, maldestramente, cerchiamo di ricondurre presso la grotta di Betlemme… là, dove tutto ha avuto inizio!

Le parole di von Balthasar, citate prima, sono un invito alla sequela di Cristo. Non c’è una strada da seguire in alternativa a quella battuta da Gesù stesso, né possiamo abbreviarne il tragitto per mezzo di artificiose scorciatoie! Ma c’è ancora di più: la strada da percorrere non è geograficamente rintracciabile, poiché coincide con la persona stessa di Cristo. Dio ha scelto la concretezza della carne per rivelarsi all’uomo e questo fa del cristianesimo il più grande paradosso religioso di tutti i tempi.

Oggi, alcuni (anche tra coloro che si professano teologi cristiani) cercano di spiegare molti aspetti marginali dell’esistenza di Cristo, soffermandosi sulla datazione storica del 25 dicembre o sulla possibilità che Cristo sia nato in un’altra località rispetto al povero e sperduto paesello di Betlemme. Nessuna di queste perplessità potrà mai superare l’avvenimento principale della nostra fede, “il fatto” cioè che un Dio per farsi carne abbia scelto la misera condizione umana e sia venuto ad abitare in mezzo a noi e che, nel presente, nell’oggi della nostra vita quotidiana ritorni a mendicare la debole e vacillante attenzione dell’uomo.

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…e il Verbo si fece carne» (Gv 1,1.14)

La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. La Costituzione dogmatica Dei Verbum aveva esposto questa realtà riconoscendo che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé». Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il messaggio del Prologo di san Giovanni se ci fermassimo alla constatazione che Dio si comunica amorevolmente a noi. In realtà il Verbo di Dio, mediante il quale «tutto è stato fatto» (Gv 1,3) e che si «fece carne» (Gv 1,14), è il medesimo che sta «in principio» (Gv 1,1). Se qui avvertiamo un’allusione all’inizio del libro della Genesi (cfr Gen 1,1), in realtà siamo posti di fronte ad un principio di carattere assoluto e che ci narra la vita intima di Dio. Il Prologo giovanneo ci pone di fronte al fatto che il Logos è realmente da sempre, e da sempre egli stesso è Dio. Dunque, non c’è mai stato in Dio un tempo in cui non ci fosse il Logos. Il Verbo preesiste alla creazione. Pertanto, nel cuore della vita divina c’è la comunione, c’è il dono assoluto. «Dio è amore» (1Gv 4,16), dirà altrove lo stesso Apostolo, indicando con ciò «l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino».[16] Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore infinito in cui il Padre dall’eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo. Perciò il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso. Pertanto, fatti ad immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo comprendere noi stessi solo nell’accoglienza del Verbo e nella docilità all’opera dello Spirito Santo. È alla luce della Rivelazione operata dal Verbo divino che si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana, ma si comprende anche il mistero della vocazione alla vita consacrata.

 


Preghiera

 

Verbo incarnato

Verbo Incarnato, che nuovamente

condividi con noi il tuo Natale

insegnaci a condividere con gli altri

i nostri progetti di pace e solidarietà.

 

Tu che nella Grotta di Betlemme

hai proposto agli uomini di ogni tempo

un itinerario di amore e riconciliazione

illumina l’umanità di oggi a ritrovare

la strada che porta ad incontrare l’altro

nel dialogo, nell’amore e nel rispetto profondo.

 

Piccolo grande Dio, che nell’umiltà più sentita

hai indicato in Te la via maestra che porta alla verità

aiutaci ad eliminare da questa terra l’orgoglio,

la falsità e la menzogna, cause dirette

del male del mondo moderno.

 

Tu che leggi nel profondo di ogni cuore

trasforma i nostri personali risentimenti

in atteggiamenti e comportamenti fraterni,

gli unici che danno gioia vera

e trasformano il Natale in festa vera.

 

Messia atteso da secoli

e giunto nella pienezza dei tempi

guida l’umanità del terzo millennio

verso mete di giustizia più certe

per ogni uomo di questa Terra.

 

Tu che tutto sai e puoi

conosci le attese di ciascuno di noi

anche per questo annuale anniversario della tua venuta tra noi

fa nascere nel cuore di tutti gli uomini della terra

un solo raggio della tua infinita carità

e della tua bontà illimitata.

 

Non permettere, Gesù, Figlio dell’Uomo,

che nessun bambino, giovane, adulto ed anziano

del Pianeta Terra continui a soffrire a causa

della cattiveria che si annida nel cuore di tanta gente.

 

Fa di tanti cuori segnati dall’odio e dalla morte,

cuori capaci di amare e di perdonare

come tu hai perdonato alla Maddalena,

ai tuoi crocifissori ed al buon ladrone

morto in croce accanto a Te sul Golgota.

 

Dalla capanna di Betlemme

anche quest’anno si irradi in tutto il mondo

la luce del tuo Natale, che è sempre

motivo di speranza e di pace per l’intera umanità.

Amen.

 

Padre Antonio Rungi, passionista

Il testo della meditazione del secondo ritiro mensile. Dicembre 2011ultima modifica: 2011-12-12T21:03:00+01:00da pace2005
Reposta per primo quest’articolo